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Il Kakie nel Goju-Ryu di Okinawa

di Paolo F. Spongia


Pubblichiamo l’articolo di Sensei Paolo Spongia già pubblicato sulla Rivista
"Arti d’Oriente" del mese di Giugno 1999.


E’ opinione diffusa che il Karate sia un’Arte Marziale che predilige la lunga distanza nel combattimento. Opinione affermatasi probabilmente in chi del Karate conosce esclusivamente l’aspetto sportivo. Il Goju-Ryu di Okinawa è all’opposto un’arte marziale che nella sua strategia di combattimento ricerca la corta distanza per applicare le sue caratteristiche tecniche offensive.
Gran parte degli stili di Karate, compreso il Goju-Ryu di derivazione giapponese, hanno perso nel loro bagaglio tecnico-tattico-motorio le abilità necessarie, affinate attraverso apposite esercitazioni, per combattere alla corta distanza, nel momento in cui si giunge in una situazione di contatto con il corpo dell’avversario. Questa carenza è ancora più evidente nella riduzione sportiva del combattimento di Karate dove la ricerca della spettacolarità e dell’ampiezza del gesto, l’interruzione dell’azione da parte dell’arbitro etc. non stimolano nessun interesse verso lo studio e la pratica del combattimento ravvicinato, determinando così grandi limitazioni tecniche e psicologiche nel karateka, allenato esclusivamente per il combattimento sportivo, che si trovi a fronteggiare una situazione di combattimento reale o più vicino alla realtà e comunque perdendo un prezioso tesoro di informazioni per lo sviluppo della propria pratica.
Lo stesso Jigoro Kano (fondatore del Judo), che conosceva il Karate di Funakoshi, rimase profondamente impressionato dalla dimostrazione che Chojun Miyagi il

(fondatore del Goju-Ryu) diede in suo onore in occasione della visita di Kano ad Okinawa nel 1927.
Dopo la dimostrazione Kano chiese a Miyagi: "Ci sono ne-waza (tecniche di lotta al suolo) nel Karate ?" Miyagi rispose che nel Goju-Ryu non solo ci sono tecniche di ne-waza ma anche nage-waza (tecniche di proiezione), shime-waza (tecniche di strangolamento) e Gyaku-waza (tecniche di leva articolare) e ne dimostrò alcuni esempi sottolineando l’importanza del controllo respiratorio nell’azione. Kano Sensei fu sorpreso dallo scoprire che il Karate non comprendeva solo calci e pugni e scrisse a Miyagi da Shangai (dove si era recato dopo la tappa ad Okinawa) una lettera di apprezzamento e tra loro iniziò una ricca corrispondenza epistolare.
Il praticante di Goju-Ryu di Okinawa esercita continuamente le proprie abilità nel combattimento ravvicinato sia attraverso l’uso di particolari attrezzature d’allenamento che sviluppano la capacità di presa, di leva, di stabilità e forza, nonché la capacità di usare tutto il corpo coordinato con il respiro e l’energia (Ki) nelle applicazioni tecniche.
Inoltre pratica vari esercizi di combattimento: dal Randori (combattimento rallentato finalizzato a migliorare la creatività d’azione e l’istintualità) al Bunkai Kumite (applicazioni in coppia del Kata, con particolare enfasi posta sullo Zanshin e sulla determinazione nell’azione), allo Iakusoku e Renzoku (combinazioni più o meno complesse di attacco-difesa), al combattimento libero nella forma dell’Iri-Kumi (termine liberamente tradotto come ‘combattimento continuo’ o ‘combattimento a corta distanza’, forma di combattimento con contatto pieno che permette, con o senza protezioni apposite di applicare tecniche di calcio alle gambe e di ginocchio, atemi a mano aperta e di gomito, prese, leve, proiezioni e Ne-Waza: lotta a terra)1.
Infine, essenziale esercitazione al combattimento ravvicinato, definita dal fondatore Chojun Miyagi: "L’autentico combattimento del Goju-Ryu", è il Kakie.

Le arti marziali apprese da Kanryo Higaonna in Cina, nel Fuchao, alla fine del 19° secolo e trasmesse a Chojun Miyagi che le ha a sua volta affinate e trasmesse ad An’Ichi Miyagi insegnante dell’attuale Caposcuola dell’International Okinawan Goju-Ryu Karate-Do Federation: Morio Higaonna , sono ancora radicate nella realtà del combattimento e caratterizzate da influenze spirituali del Buddhismo e del Taoismo.
A causa della loro 'fresca' relazione con il combattimento reale, che si decide di solito in uno o due metri quadri, queste arti marziali contenevano molte tecniche per il combattimento a corta distanza, come le cosiddette qinna o tecniche di presa, incluse proiezioni, strangolamenti, attacchi ai vasi sanguigni, leve articolari, attacchi ai punti vitali, etc. Tecniche che, oltre a colpi di gomito, ginocchio calcio e attacchi di testa,tendono a giocare un ruolo determinante in un combattimento reale dall’antichità fino ad oggi.
Le tecniche di presa menzionate sopra erano, ed ancora sono, praticate nel bunkai kumite e kakie.
Molti esercizi per il combattimento della Cina Meridionale cominciano da una situazione in cui i praticanti già sono in contatto con certe parti del corpo, soprattutto l'avambraccio. Gli avambracci sono spesso denominati ‘ponti’ poichè connettono i corpi dell'assalitore e del difensore e creano l’occasione per entrare nella difesa dell'assalitore.
Oggi, ancora molti di questi esercizi esistono e sono praticati nelle arti da combattimento della Cina Meridionale e di Okinawa. Ben noti esempi di questi sono tuishou (‘mani che spingono’) del Taijiquan e chishou del Yongchun quan. Nel Karate Goju-ryu di Okinawa questo genere di esercizi sono raccolti sotto il nome di 'kakie’,pronunciato 'koki’ nel dialetto del Fujian , e giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo delle abilità nel combattimento2.
L'impatto della pratica del kakie sullo sviluppo delle abilità del karateka, sia da una prospettiva marziale che terapeutica,può essere enorme a causa dell’intenso, continuo e vivo feedback che ottiene il praticante . Il Kakie è un interessante punto d’incontro di differenti esercizi di karate-do, connette la fondamentale e profonda ginnastica terapeutica e i principi meditativi del kata Sanchin, la ricchezza tecnica del Bunkai kumite e la potente dinamica dell’Iri kumi.
Dalla prospettiva della ‘cinetica ed energetica’ il kakie ha un forte impatto sulla capacità di radicare e stabilizzare la propria postura, centrarsi; regolare il respiro, l’assorbire ed estendere la potenza, muchimi, chiru nu chan chan (più avanti spiegherò il significato di questi termini)3 e altre qualità di base.
Le tecniche di presa, incorporate nel bunkai kumite e nel kakie, e derivate dai movimenti dei kata, sono dette tuite (tuidi) o gyakute. Tuite può essere tradotto come ‘mani che afferano’. Gyakute letteralmente significa ‘mani rovescianti’, spiegando il suo carattere difensivo facendo riferimento al rovesciare, allentare o rilasciare una presa dell’avversario con il significato di tecniche di leva articolare, proiezioni, strangolamenti o altro.
Le stesse tecniche di tuite o gyakute possono anche essere applicate contro attacchi di calcio o di pugno.
Le situazioni di combattimento a corta distanza richiedono delle abilità specifiche che non possono essere sviluppate attraverso pratiche di combattimento a lunga distanza. A corta distanza è più difficile parare e attaccare con atemi, in particolare spesso gli attacchi non possono essere percepiti con la vista perché l’avversario è molto vicino e sono lanciati da una distanza ridotta (il che richiede una specifica capacità di sviluppare potenza senza nessun caricamento del colpo: sun zuki), il tempo di reazione è inoltre ridotto al minimo. In questa situazione di combattimento si deve fare affidamento ad una sensibilità specifica al contatto con l’avversario, una sensibilità che permetta letteralemente di intuire le sue intenzioni sul nascere.
Il combattente allenato a questo tipo di combattimento giunto alla corta distanza cercherà di ‘aderire’ al corpo dell’avversario per percepirne le intenzioni attraverso le tensioni e distensioni muscolari e le canalizzazioni energetiche, soffocandone sul nascere l’azione o reindirizzando l’energia a proprio vantaggio.
Morio Higaonna Sensei è solito dire: "Il kakie è particolarmente indicato nel combattimento a corta distanza. Nel normale kumite sono per lo più gli occhi che leggono le intenzioni dell’avversario. Nel combattimento ravvicinato, invece, è vitale percepire il movimento dell’avversario attraverso il tatto."
Questo sviluppo della sensibilità, con e senza contatto, è strettamente collegata all’affinare quella capacità che nel dialetto di Okinawa è definita ‘chiru nu chan chan’.
Questo termine si riferisce ad una azione esplosiva che deriva da una perfetta coordinazione nella contrazione e decontrazione dei muscoli e dei tendini, ma ha connotati più profondi che comprendono la capacità di anticipare l’attacco dell’avversario incrementando la propria sensibilità, il che permette di esprimere azioni fulminee riducendo al minimo il tempo di reazione.
A livelli avanzati questa sensibilità si estende ad un livello mentale ed energetico definito ‘kanken’, che può essere tradotto come intuizione o sesto senso.
Questa capacità (chiru nu chan chan), anche muscolare, può essere ottenuta solo a prezzo di un quotidiano allenamento ed è tenuta in grande considerazione dai maestri di karate di Okinawa.
La realtà del combattimento impone inoltre al combattente che cerchi la corta distanza di sviluppare la capacità di assorbire qualche colpo nel chiudere la distanza. In altri termini, è necessario sviluppare l’abilità, di assorbire gli attacchi in quelle aree del corpo che possono essere protette attraverso una specifica contrazione muscolare e attarverso particolari cambiamennti della posizione di guardia.
Il Goju-Ryu di Okinawa prevede molti esercizi che ‘forgiano’ il corpo e le estremità affinchè acquisiscano questa resistenza all’impatto e che inoltre permettono di sviluppare la capacità di assorbire l’impatto nel modo più razionale e meno dannoso attraverso la giusta coordinazione tra movimento, contrazione e respiro.
Esempi di queste esercitazioni sono il: tai atari, l’ude tanren e l’allenamento al makiwara.
Gli esercizi di Tai atari e di Ude tanren hanno la loro origine nello stile luohan quan o ‘la boxe del monaco’. Il luohan quan insieme al hu quan o ‘boxe della tigre’ e allo he quan o ‘boxe della gru’, sono le fondamenta da cui si è evoluto il Goju-ryu di Okinawa.
Fondamentale è inoltre sviluppare la capacità di incrementare la propria energia vitale (Ki), accumularla nel Tanden e indirizzarla alle aree che subiscono il contatto ‘fondendo il Ki’ nelle ossa, muscoli e tendini.
La base per lo sviluppo di queste ‘abilità energetiche’ è l’allenamento del Kata Sanchin.
Il Kata Sanchin è finalizzato proprio all’unificazione della mente e del corpo attraverso l’incremento e il controllo del respiro e dell’energia, ed è a pieno titolo considerato una forma di Kiko, esercizio per il Ki. Sanchin significa proprio risolvere i ‘tre conflitti’ tra corpo-mente e respiro.
Un particolare tipo di pratica respiratoria esercitata nel Goju-ryu di Okinawa e fondamentale nel combattimento a corta distanza è il metodo ‘noon’. In questo genere di respirazione si impara a trattenere il respiro durante l’estensione di energia, questo permette di assorbire colpi mentre si attacca con tecniche di pugno, calcio, si proietta... Questa dinamica respiratoria richiede un alto livello di controllo respiratorio, un forte sviluppo del tanden e l’apertura dei meridiani energetici.
Una delle abilità che l’esercitazione Kakie permette di acquisire nel combattimento ravvicinato è proprio questa capacità di sospendere il respiro al culmine dell’azione.
Anche nel superiore Kata Suparinpei troviamo in varie fasi questa particolare dinamica respiratoria ‘noon’.
In altri eventuali articoli mi propongo di illustrare altri aspetti della pratica del Goju-Ryu di Okinawa tra i quali gli esercizi di potenziamento muscolare-energetico, Bunkai Kumite, Iri Kumi....
Torniamo per ora a parlare dell’esercitazione Kakie.
Nell’esercitazione Kakie i due (a volte tre) praticanti partono da una situazione di contatto dell’avambraccio anteriore e cercano una forte stabilità attraverso il ‘radicamento’ (definito rooting in inglese) sviluppato con l’allenamento del Kata Sanchin abbinato alla necessità di essere estremamente mobili e paradossalmente ‘leggeri’ negli spostamenti (questo fa perfettamente comprendere i principi ‘Go’ e ‘Ju’) quindi cominciano a ‘spingere’ verso il corpo del compagno. La ‘spinta’ (che può trasformarsi in atemi) può avvenire sul piano orizzontale o su quello verticale.
La risposta alla spinta sarà quella di deflettere la forza attraverso il corretto movimento delle anche e di tutto il corpo centrato nel tanden con particolare attenzione al controllo del respiro e alla sensibilità che nasce dalla giusta alternanza di tensione e rilassamento. La spinta verticale viene ‘assorbita nel tanden’. Varie possono essere le modalità di questo esercizio di base del Kakie: occhi chiusi e reazione alle rotture di ritmo del compagno, ammortizzazione muscolare della spinta per redirigere l’energia e sviluppare la forza nei distretti muscolari interessati all’azione e altre forme di esecuzione. In ogni caso il fondamento della pratica è : trovare il proprio centro e agire a partire da lì. In seguito si cominciano ad applicare leve, proiezioni, atemi, prese e pressioni a punti vitali a partire da questa situazione di contatto reagendo all’azione d’attacco del compagno. Fino ad arrivare ad applicare liberamente, in una sorta di combattimento libero, le tecniche e le relative risposte di liberazione, contrattacco, controleva...
La capacità di controllare e redirigere la forza dell’avversario, nel combattimento a corta distanza, richiede di saper controllare, assorbire, deflettere ed evadere la forza stessa. Tutte queste abilità si allenano nel Kakie. La capacità di controllare la forza dell’avversario è sviluppata attraverso i movimenti muchimi che si trovano oltre che nel Kakie anche nei Kata. Muchimi nel dialetto di Okinawa viene definito un movimento ‘appiccioso-pesante eppur fluido’ ed è caratteristico di tecniche di presa e di parata evolute che oltre a deflettere l’energia dell’attacco tengono sotto controllo e disturbano l’equilibrio dell’avversario per il tempo sufficiente al contrattacco.
La capacità di assorbire l’energia, da non confondere con la capacità di assorbire un colpo, è allenata nelle esercitazioni di base del kakie in cui si ‘assorbe’ la spinta dell’avversario nel Tanden, da dove riparte poi la forza di ritorno.
Le abilità richieste in quest’azione sono chiamate nelle arti marziali cinesi: ‘tunjin’ e ‘ tujin’.
Tunjin significa ‘abilità nell’inghiottire o assorbire’ e tujin significa ‘abilità nel risputare o restituire’.
Nel movimento verso l’avversario la potenza è ‘penetrante’ e ‘sovrabbondante’ mentre nel movimento di ricezione della forza viene utilizzata energia sufficiente ad assorbire la forza e redirigerla verso il suolo o il tanden. E’ come se il corpo si espandesse e contraesse.
La capacità di assorbire la forza, allenata nell’esercizio del Kakie, è anche utilizzata in particolari parate ‘morbide’ (ju) spesso combinate con tenshin, tai sabaki e o taihiraki ( spostamenti, schivate con tutto il corpo o solo col busto).
La capacità di deflettere un attacco può essere combinata con la capacità di ‘assorbire’ o ‘far rimbalzare via’ la forza dell’attacco.
L’evasività utilizzando tai sabaki, tai hiraki e tenshin è difficile da padroneggiare nel combattimento a corta distanza, ed è allenata attraverso il kakie, permettendo di ottenere attraverso lo spostamento di tutto il corpo o parte di esso una migliore posizione strategica rispetto all’avversario trasformando la difesa in contrattacco.
Il confronto con il Kakie apriva talvolta ad Okinawa le ‘sfide’ tra Karateka (kake-dameshi) permettendo così ai contendenti di percepire il livello dell’avversario ed eventualmente riconoscerne la superiorità rinunciando al combattimento.
Ho percepito personalmente questa realtà praticando in più occasioni kakie con Higaonna Sensei.
Nonostante ritengo di aver acquisito una discreta abilità in questo esercizio mi sono sentito completamente sovrastato dalla potenza e dal controllo del Maestro.
Un divertente episodio è accaduto durante un allenamento con Higaonna Sensei.
Un body builder, pluri-decorato campione anche di distensioni su panca, che ci aveva osservato  praticare Kakie con Higaonna Sensei ci ha chiesto di poter provare con il Maestro.
Al momento opportuno, durante una pausa, il body builder è stato presentato a Higaonna Sensei che con il solito spirito cordiale e modesto ha accettato di eseguire l’esercizio con lui.
Ebbene ho visto il Pesista, che misurava il doppio del Maestro, essere spinto in tutte le direzioni della stanza in balia del controllo e della potenza di Sensei come un bambino condotto per mano.
Scherzando il Maestro gli ha detto: "sei forte, ma se vuoi diventare più forte devi cominciare a praticare Karate".
E’ difficile esprimere a parole ciò che può essere compreso solo attraverso la pratica corporea.
Spero comunque di aver trasmesso qualche impresione ed informazione attraverso questo mio scritto se non altro per ricordare a tutti i Karateka, spesso delusi da una pratica finalizzata esclusivamente all’agonismo, che esiste un tesoro di informazioni che si sta irrimediabilmente perdendo.
Che esiste una pratica completa ed appagante che permette di ‘crescere’ per tutta la vita non solo nello sviluppare la propria capacità combattiva ma anche e soprattutto che permette attraverso i propri preziosi strumenti educativi di conoscersi e perfezionarsi come uomini completi.


Note al testo:

1: Chojun Miyagi era estremamente interessato a sviluppare delle metodiche di allenamento al combattimento che permettessero al praticante di applicare liberamente, a contatto pieno, le proprie tecniche in combattimento libero. Nel 1930 ordinò ad un negoziante di Osaka degli equipaggiamenti protettivi per i suoi allievi consistenti in protezioni per la testa, mani, busto e genitali. Il casco per la testa era simile all’elmetto del ricevitore del baseball, ingombrante, con una pesante griglia metallica per proteggere il volto. Il corpetto assomigliava all’armatura del Kendo.
Gli allievi di Miyagi della scuola superiore Shogyo e del club di karate Kenkyu furono impazienti di applicare le loro tecniche in combattimento libero con le nuove protezioni. Purtroppo la pesantezza ed inadeguatezza delle protezioni causò numerosi infortuni in particolare lla nuca e alle dita tanto che Miyagi, dopo circa un anno, conscio dell’inadeguatezza di questo equipaggiamento per il combattimento a contatto pieno decise di interrompere quest’eserciazio in attesa di avere a disposizione protezioni più adeguate.
Sensei Meitoku Yagi ricorda: "Quando iniziai il mio allenamento chojun Sensei stava collaudando nuove protezioni. Il casco era simile alla maschera del Kendo. Sbarre metalliche coprivano il volto lasciando scoperti solo gli occhi. L’allenamento all’Iri Kumi con queste protezioni era pericoloso. Per esempio, quando la testa veniva colpita con Furi zuki (colpo di pugno circolare a braccio disteso), si causavano seri danni alla cervicale...."
L’Iri Kumi praticato oggi nei Dojo I.O.G.K.F. è l’evoluzione dell’idea del Chojun Miyagi.

2: Molti termini cinesi importati ad Okinawa si sono modificati secondo la pronuncia okinawense nel leggere gli ideogrammi cinesi così il Kata Sanchin era nel cinese del Fuzhau chiamato Sanchen mentre in dialetto mandarino San Zhan, o ancora il Kata Saifa nel Fuzhau era chiamato Choy Po e in mandarino Sui Po, così rispettivamente il Kata Sepai era So Pak o Shi Ba, il Kata Sesan era Sake Sang o Shi San, il Kata Seiyunchin era Chak in Chen o Zhi San Zhan, il Kata Suparinpei era rispettivamente So Pak Ling Pak e Yi Bai Ling Ba.

3: Va ricordato che l’opera di diffusione in territorio giapponese del Goju-Ryu di Okinawa operata dalla stesso Chojun Miyagi ha fatto si che lo stile di Okinawa assimilasse molta della terminologia già in uso in altre discipline del Budo giapponese. Ricordiamo che il Karate di Okinawa era considerato dai giapponesi una rozza tecnica da combattimento, opinione dettata più da un sentimento di superiorità e da un certo razzismo nei confronti del popolo okinawense, che non da un’effettiva conoscenza dell’arte stessa.
Solo l’opera di diffusione di grandi maestri quali Funakoshi, Miyagi...permise al Karate di Okinawa di venire apprezzato dai giapponesi nella sua autentica dimensione e valore. Continuare ad utilizzare i termini del dialetto di Okinawa avrebbe probabilmente rallentato quest’opera di divulgazione.
Ricordo inoltre come Chojun Miyagi facesse continuo riferimento allo spirito del Budo che permeava la sua arte e teneva molto a far si che il Goju-Ryu fosse annoverato a pieno titolo tra le arti del Budo giapponese. La volontà di Miyagi è ben espressa nelle parole rivolte al suo discepolo J. Shinzato: " L’uomo deve ingrandire il proprio essere attraverso la pratica del Budo..., voglio rendere il karate degno di essere al rango del Budo mediante la sua qualità. Tu, mio discepolo, lo capisci e vuoi seguirmi a questo scopo?"
Anche la pratica nei dojo di Okinawa era organizzata in modo simile alle scuole cinesi. Non c’erano orari prestabiliti delle lezioni e si lavorava spesso divisi in gruppi o individualmente, c’era chi lavorava agli attrezzi, chi praticava Kata, chi esercizi in coppia o Kihon. L’influenza del Budo giapponese si è fatta sentire anche in questo, portando i dojo di Okinawa ad assimilare molti aspetti delle metodiche educative in uso nei dojo di Budo giapponese anche se tuttora è mantenuta molta parte del sistema di pratica in uso in Cina.
A mio parere il risultato di questo doppio influsso cinese e giapponese sul terreno fertile della mentalità okinawense ha reso il karate di okinawa un’arte unica nel suo genere seppur fondata sugli elementi tecnici ed educativi di entrambe le culture.

© Copyright P. Spongia 1999