back


Un Capodanno a Fudenji

di Silvia Arriga


In treno, di ritorno da Fudenji, nel tardo pomeriggio del 1 gennaio 2000, mi è venuta in mente una cosa che il Maestro Spongia dice spesso: "Alla fine di ogni esperienza di Karate o Zen provate a scrivere ciò che sentite dentro di voi per trasmetterlo, attraverso la penna, agli altri, a chi non ha potuto vivere la stessa esperienza".
Così, visto che non l’ ho mai fatto, questa volta ho deciso di provare.

Ho passato gli ultimi tre giorni dell’anno, fino al pomeriggio del primo giorno del 2000, nella comunità di Fudenji. Quest’anno è stata organizzata al Palazzo dei Congressi a Salsomaggiore una Sesshin (momento di pratica intensiva insieme, simile al concetto di Gasshuku nel Karate), dal titolo "Zen a porte aperte", proprio perché hanno partecipato, oltre ai frequentatori assidui e meno assidui del Tempio, anche persone esterne che erano venute a conoscenza dell’evento tramite i mass media.

Il primo giorno sentivo un po’ la mancanza dei miei compagni di pratica e del Maestro, poi l’atmosfera che si é creata mi ha profondamente coinvolto e ancora oggi ne sento il sapore.

La giornata per i praticanti che dimoravano a Fudenji, era suddivisa tra il Tempio e Salsomaggiore. La mattina sveglia alle 3.55, il tempo di sciacquarsi il viso, lavarsi i denti e via a fare zazen. 
Lo zazen durava più del solito, perché il freddo non permetteva lo svolgersi della cerimonia del mattino nella sala del Dharma, come si fa normalmente, ma si cantavano sutra rimanendo seduti in zazen nel Dojo.

Si terminava con la cerimonia dei pasti, un kata splendido, si inizia e si conclude tutti insieme, un’arte che ha bisogno di molta pratica e studio.

Il pasto per la colazione abitualmente é riso, verdure cotte e Gomasio (semi di sesamo e sale cotti insieme), da mettere nel riso per dargli più sapore. La lunga cottura da' al riso un aspetto poco invitante ma al contrario dell’apparenza dona un calore e un piacere immenso. 
Parlo dell’aspetto ricordando la prima volta che andai a Fudenji (il Maestro non mi disse quasi nulla di ciò che avrei dovuto fare, forse proprio per farmi assaporare tutto senza nessuna influenza, proprio come un vaso vuoto!!), una calda mattina di giugno, quando mi trovai di fronte al riso mi si serro' la gola e feci molta fatica a mangiare. L’aspetto appunto era poco invitante e nella mia mente, fare colazione di mattina presto con il riso era impensabile. Ora, a distanza di tempo, ripensando a quel giorno, mi sembra incredibile che mi manchi, di Fudenji, proprio quel riso di prima mattina.

Al termine della cerimonia dei pasti ci si cambia d’abito e avviene la distribuzione del Samu, lavoro, altro momento di pratica molto particolare, attraverso il quale ognuno di noi si ritrova davanti ai propri limiti "mentali" magari ancora sconosciuti, permettendone la scoperta e (superata la sorpresa) il superamento.

Così si va dal pulire le ragnatele, al lavare per terra, al togliere l’erbetta dalla ghiaia, al pulire i bagni o ancora al collaborare in cucina.

Al termine del Samu, un incontro tutti insieme nella stanza dell'accoglienza, un caffè (che di solito é portato in offerta da qualcuno) e qualche biscotto, per poi partire per Salsomaggiore, dove nel frattempo le persone che dormivano negli alberghi, praticavano zazen con la conduzione di una monaca di Fudenji alle 07.00.

A Salsomaggiore durante la giornata si poteva scegliere uno dei corsi proposti: Shiatsu, Cerimonia del tè, Ceramica, Cucitura del Kesa (l’abito dello Zazen) e Canto, tutti corsi che si svolgono regolarmente durante l’anno a Fudenji. 
Io ho scelto di seguire il corso della Cerimonia del tè, con un monaco di Fudenji di nome Fabrizio.

Disciplina in cui ho ritrovato lo spirito e la filosofia delle arti marziali e dello Zen, verificando come tutte queste arti siano profondamente legate, la stessa costante attenzione e consapevolezza per quel che si fa, attenzione al corpo, allo spirito e al respiro.

L'ultimo giorno dell'anno ho passato la notte a servire (insieme ad altri) le varie portate alle 90 persone che si erano ritrovate al Tempio, in armonia e felicità completa e tra una pausa e l'altra mi sedevo al tavolo a chiacchierare e mangiare per poi rialzarmi subito dopo e così via.

Vicino alla mezzanotte il Maestro Guareschi ci ha spiegato che nel Buddhismo Zen, a capodanno, é usanza suonare la grande campana (O Bonsho), che si trova all'esterno della struttura, chi voleva poteva farlo, per buon augurio pensando a qualcuno che ti é caro, subito si è formata una lunga fila di persone, anch'io, dopo essermi prosternata (secondo la regola) pensando a qualcuno di molto molto caro a me (i miei genitori) ho fatto risuonare nell'aria fredda di quella limpida notte il suono puro di quella campana.

Poi il Maestro è arrivato e dopo essersi prosternato più volte ha suonato cominciando a recitare il Sutra Maka Hannya Haramita Shingyo. Rientrati, dopo il brindisi e gli auguri, Silvia la cantante ha dedicato una canzone al Maestro. Abbiamo finito cantando tutti insieme No women no cry. Mi sono commossa, é stato tutto molto bello.

Verso l'una sono andati tutti via e noi del servizio insieme ai pochi rimasti abbiamo cominciato a pulire. A letto alle 3.45 di notte. La mattina dopo il Maestro ci ha concesso di dormire fino alle 7.00.

La mattina successiva, dopo lo zazen, la cerimonia dei pasti, la cerimonia dei Sutra è seguita una cerimonia bellissima nella sala del Dharma, quella del primo dell'anno. A Salsomaggiore abbiamo finito col pranzo e i saluti.

Ho sempre l’impressione quando torno da Fudenji di esserci stata molto più di 3 o 4 giorni, penso che sia dovuto al fatto che a Fudenji non hai modo e tempo di scappare dalla realtà, come spesso facciamo, sei costretto ad essere presente momento per momento, passo dopo passo, vivi il presente costantemente senza fare pensieri lontani, e appena lo fai immancabilmente fai un passo sbagliato. Così per esempio nella cerimonia del tè, ti trovi a maneggiare oggetti molto delicati e a volte anche preziosi (per la loro storia!), per i quali se non hai una attenzione più che costante, si può rischiare di romperli. Una ciotola, deve essere presa con entrambe le mani, come se l’accogliessimo con tutto il nostro corpo e maneggiarla con tutta l’energia che è in noi. Appena l’attenzione cambia anche il nostro corpo cambia, e la ciotola può cadere, e se oggi non stiamo attenti alla ciotola, domani potremmo non esserlo con nostro figlio.

La pratica costante di un’arte aiuta a raggiungere la consapevolezza.

Naturalmente ognuno di noi ha la sua Via da percorrere, non deve essere necessariamente orientale o quella che va per la maggiore in quel momento, l'importante è che sia la propria.

Questo è il mio umile pensiero.

PS: Scrivo questo post scriptum perché mi sembra importante che io dica un'ultima cosa.

L'intelligenza, l'amore per gli altri e per la vita, la gentilezza d'animo e la discreta presenza del Maestro Guareschi ha permesso a tutti noi di aprirci gli uni con gli altri, dandoci l'opportunità di conoscerci e di potere scambiare quell'amore e quel rispetto che è così difficile saper dare. Grazie a tutti voi dell'affetto che mi avete donato e del quale sono molto onorata e col quale io vi ricambio dal profondo del mio cuore.

Silvia

© Copyright Tora Kan 2000


back